La nebbiosa e Pasolini Roma, due mostre dedicate all’intellettuale scomodo.

Due mostre per ricordare Pasolini, in due città simbolo per il poeta di Casarsa: Roma e Milano. La Milano degli industriali, della ricca borghesia, protagonista di gran parte dell’opera di Pasolini e la Roma che fa da sfondo a Mamma Roma, Accattone, Ragazzi di Vita, rendono omaggio al gigante del ‘900. A Milano dal 8 maggio è possibile visitare “La nebbiosa”, mostra fotografica ispirata al testo omonimo di Pier Paolo Pasolini, scritto nel 1959 e ambientato a Milano, sceneggiatura di un film mai realizzato. L’esposizione si trova a palazzo Moriggia, al Museo del Risorgimento in via Borgonuovo. Dal 5 giugno  la mostra si arricchirà di una sezione dedicata a Milano tra gli anni 1950 e 1965 con foto d’autore e immagini d’epoca accompagnate dai testi di Pasolini, rimasti inediti per anni fino alla pubblicazione dell’opera da parte de Il Saggiatore. E dall’8 giugno ne farà parte anche il patrimonio di immagini dei milanesi, dal 5 giugno i milanesi avranno, infatti, la possibilità di condividere il ricordo della loro città, partecipando di fatto alla prima social exhibition italiana. Sarà disponibile un numero limitato di caselle (1850) per le foto dei visitatori, che formeranno la seconda sezione della mostra. La mostra, con le sue due sezioni, resterà aperta fino al 14 settembre. A Palazzo delle Esposizioni di Roma è arrivata ad aprile la mostra dal titolo “Pasolini Roma”, a cui si associano tre capitali europee, Barcellona, Parigi, Berlino, per raccontare il legame storico ed indissolubile dell’intellettuale scomodo con la città eterna. La Roma delle borgate che fa da sfondo a Mamma Roma, Accattone, Ragazzi di Vita, quella della “Dolce vita”, animata da intellettuali come Alberto Moravia ed Elsa Morante, Vincenzo Cerami, registi indimenticabili come Bernardo Bertolucci , che con il regista di Salò o le 120 giornate di Sodoma hanno avuto legami profondi. “Pasolini Roma” sarà visibile fino al 20 luglio 2014.

Pasolini-Roma

Pasolini-la nebbiosa

Quel decennio che cambiò il mondo…

Chi ha vissuto l’adolescenza e la giovinezza tra gli anni ’60 e ’70 ha sicuramente ben scolpiti nella memoria gli eventi del decennio ’65-75, anni di grande fermento politico e culturale.
A cavalcare questi anni in Italia c’è Pier Paolo Pasolini, poeta, romanziere, saggista, drammaturgo e regista, con uno sguardo spietatamente lucido e una visione premonitrice del mondo contemporaneo.
Nel 1965, quando iniziano i primi bombardamenti americani nel nord del Vietnam, e nelle sale cinematografiche italiane approda il lungometraggio “I pugni in tasca” di Marco Bellocchio, film manifesto ed anticipatore del ’68, Pasolini completa la stesura di Affabulazione.
Nel 1966 dalla Cina Mao lancia la sua rivoluzione, mentre in Colombia la magica prosa di Gabriel Garcia Màrquez forgia un romanzo destinato alla fama mondiale “Cento anni di solitudine”.
Nel 1967 il poeta statunitense Allen Ginsberg della Beat Generation viene arrestato al Festival di Spoleto per versi osceni, mentre Pasolini inizia le riprese di Edipo re, con un giovanissimo Carmelo Bene.
Il 1968 è l’anno del movimento studentesco che infiamma la gioventù europea. In quell’occasione Pasolini si schiera contro gli studenti «figli di papà» e solidarizza con i carabinieri, nella famosa l Pci ai giovani.
Il 1969 vede la strage di Piazza Fontana e l’evoluzione violenta delle lotte sociali, dando così inizio alla strategia della tensione. Migliaia di telespettatori seguono con attenzione in diretta tv lo sbarco sulla luna degli americani Armstrong, Aldrin e Collins, mentre in Italia il nobel Dario Fo presenta il suo Mistero Buffo.
E intanto vengono superate battaglie importanti nel campo dei diritti civili, nel 1970, infatti, malgrado l’opposizione di Dc e Msi, la legge sul divorzio passa anche in Senato. E Pier Paolo Pasolini inizia a lavorare alla trilogia della vita, destinata a far tanto discutere Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte.
Nel 1971 alcuni esponenti della sinistra extraparlamentare animano il quotidiano Il manifesto, diretto da Luigi Pintor. Tra questi spiccano gli espulsi dal Pci: Rossana Rossanda, Lucio Magri, Valentino Parlato. E dall’America arriva uno dei capolavori di Stanley Kubrick, Arancia meccanica.

In Italia, invece, l’anno successivo,1972, un altro lungometraggio è destinato a scandalizzare, è Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci. Mentre il parlamento approva la legge che introduce l’obiezione di coscienza per il servizio militare.
Nel 1973, dalle colonne di Rinascita, Enrico Berlinguer lancia la proposta del compromesso storico: una convergenza tra Pci, Dc e Psi, e dalla Svezia arriva Sussurri e grida di Ingmar Berman.
Le Brigate rosse uccidono per la prima volta nel 1974: due morti nella sede del Msi di Padova. Nello stesso anno Elsa Morante pubblica La storia e Leonardo Sciascia Todo modo, romanzi simbolo della letteratura italiana contemporanea.
A chiusura di un decennio intenso, il 1975 vede la morte di Pier Paolo Pasolini, e l’uscita postuma di uno dei suoi film più controversi: Salò e le 120 giornate di Sodoma, metafora dell’essenza più intima del potere, fatta di brutalità, violenza, sopraffazione, viltà e totale certezza dell’impunità.

il '68 alla Statale di Milano

 

Un mese per scoprire Pasolini

Uno degli autori più complessi e preziosi che la letteratura italiana contemporanea annovera. Drammaturgo, regista, poeta, romanziere e fine intellettuale nonché in molti casi profeta dei nostri tempi. Pier Paolo Pasolini è stato tutto questo e anche molto di più.
E per rendere omaggio a questo gigante del ‘900 il teatro Out Off, in occasione della messa in scena di Affabulazione, dramma in versi del 1965, ha organizzato una serie di incontri per approfondire il discorso sull’autore e sull’eredità che ha lasciato nei diversi settori, dal teatro al cinema passando per la poesia.
Il primo dei cinque appuntamenti previsti, il 7 maggio vedrà ospite il critico teatrale Oliviero Ponte di Pino, tra gli storici collaboratori della Ubu Libri e del Patologo, ed autore delle prefazioni ai due volumi del “Teatro” di Pasolini pubblicate da Garzanti, che parlerà proprio della drammaturgia dello scrittore di Casarsa.
Si prosegue il 13 maggio con Franco Buffoni, autore di diverse raccolte di poesie e dei romanzi “Pasolini e la poesia” ” Il servo di Byron” e “La casa di via Palestro”, e direttore del semestrale di teoria e pratica della traduzione letteraria “Testo a fronte” e cura “I Quaderni italiani di poesia contemporanea”, che discuterà della poesia di Pasolini.
Il 20 maggio Maurizio Porro, giornalista, scrittore, drammaturgo, critico cinematografico del Corriere della Sera interverrà sul cinema di Pasolini.
Il 23 maggio alle 18, presso la Sala Spazio Eventi – Mondadori Multicenter in Piazza Duomo, il regista Lorenzo Loris e la compagnia incontrano il pubblico.
A concludere il ciclo di incontri il 27 maggio Bruno Pischedda, docente di letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano, saggista, e collaboratore del “Sole 24 ore”, E’ autore del saggio “Scrittori polemisti. Pasolini, Sciascia, Arbasino, Testori, Eco” . Sul palco di Via Mac Mahon parlerà di “Pasolini e gli scritti corsari”.

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55 minuti per scoprire l’amore.

Non è solo uno spettacolo di danza contemporanea, nemmeno soltanto una jam session , né semplicemente uno spazio dedicato alla canzone, ma una manifestazione in cui danza, musica e canto si incontrano in 55 intensi minuti per raccontare la scoperta dell’amore contemporaneo.
Così si presenta lo show della Katherine dance company che il 14 e 15 aprile approda al Teatro Out Off. Poco meno di un’ora in cui una factory di musicisti, deejay, ballerini e cantanti narrano lo svelamento dell’amore odierno.
Partendo da quello romantico e assoluto, che ci viene trasmesso fin dalla nascita, passando per l’ intrico dei sensi dove si perde la razionalità e prende sopravvento la carne, fino ad arrivare al fast sex dei club New Yorkesi che trascina in un vortice di sudore e passionalità dove preda e predatore si scelgono a priori attraverso segnali rituali che nulla a che vedere con il romanticismo. Una ricerca continua e ossessiva per colmare il vuoto creato da una società con modelli paradossali e artificiali. Tutto in 55’ minuti, come il numero della musica nel libro dei sogni.
Sul palco la prima ballerina Tamara Fragale, le ballerine soliste Stefania Fiandanese, Alice Corti. A cui si uniranno per la prima volta alla compagnia Alessia Verdini e Nicolò Gatti. Per gli Strumenti Live: Stefano Iascone alla tromba, Diego Fuga al didgeridoo, Valentina Cariulo al violino, Damiano Cappe’ live e al canto Giovanni Rho.
Autrice, regista e coreografa dello spettacolo è Caterina Buratti, che si è avvalsa della collaborazione di Giovanni Rho.
Con la partecipano dele giovani ballerine: Elettra Losio, Alice Celentano ed Eva Radice Fossati.

55min

I Marcido le suonano e le cantano a Molière

Quello che colpisce maggiormente dell’ultima messa in scena della storica compagnia torinese è il tripudio di colori che domina una scenografia strepitosa, il gioco di luci che ne esalta la struttura drammaturgica e la versatilità dei Marcido.
Merito dell’estro e della competenza della scenografa Daniela Dal Cin, colonna portante dei Marcido, che ha concepito e realizzato l’atmosfera barocca che avvolge la pièce. Se in un primo momento predominano mobili disegnati su forme di compensato, con rotelle alla base che ne permettono il movimento e il rapido cambio di scena, tutto rigorosamente in bianco e nero, successivamente si fa largo un simposio di colori attraverso i bizzarri costumi in cui “entrano” i biancovestiti.
Definire i Marcido un gruppo di attori sarebbe riduttivo, già perché l’allegra brigata accoglie il pubblico vestita di bianco, avvolta in candide tutine, con il viso incipriato di polvere bianca, e armata di chitarre intona canzoni nonsense per scandire il racconto. Una recitazione la loro che nell’apparente disordine non lascia nulla al caso.
Il capocomico, Marco Isidori, fa il suo ingresso in scena all’interno di un cerchio di ferro, nei panni del protagonista Alceste, e si serve proprio dei versi di Molière, che ha personalmente tradotto, per portare in scena la parabola della verità di cui narra la commedia più amara di Molière.
Se l’obiettivo della compagnia milanese era quello di bandire la noia dal teatro, bisogna riconoscere che è stato pienamente raggiunto, attraverso una pièce che richiamandosi ai codici della commedia dell’arte, e mescolando sapientemente la tradizione al gusto contemporaneo inchioda lo spettatore alla visione dello spettacolo.

Misantropo

Con i Marcido il Misantropo ne vede di tutti i colori!

Metti una compagnia teatrale affiatata che da oltre 30 anni vive e lavora come una grande famiglia, ma aperta ai giovani talenti tanto da accogliere nel gruppo consolidato una debuttante.
Metti un regista che è anche drammaturgo e interprete, insomma, un capocomico alla maniera di Shakespeare, come il poliedrico Marco Isidori, che ha tradotto il classico di Molière, e lo ha adattato all’anima della compagnia.
Metti che l’atmosfera barocca di Moliere si incontri con quella naturale dell’allegra brigata, creando uno spazio di irrealtà metafisica che permette alla commedia di moltiplicare le sue fisiologiche potenzialità comunicative.
Metti che capocomico e compagnia insieme abbiano deciso di bandire la noia dal teatro servendosi anche della musica, facendo del capolavoro di Molière una forma di teatro musicale.
Ed ecco allora che il personaggio cupo e indisponente forgiato dalla penna del drammaturgo francese diventa un uomo molto sprovveduto, a metà strada fra l’idiota di Dostoevskij e Pinocchio.
Ad introdurre la sua vicenda un coro di attori armati di chitarra intonerà un motivo scritto dal regista, e che ancora la musica accompagnerà il pubblico fino all’epilogo della vicenda.
A fare da sfondo una scenografia, disegnata da Daniela Dal Cin, composta da una sorta di grande gabbia dei leoni, al cui interno c’è un salotto dai mobili enormi e deformi. E anche i costumi saranno importanti… un barocco esagerato, alla Marcido!
Ed infine, il colore: se all’inizio prevalgono i toni bianchi e neri che ricordano il primo cinema muto, poi invece c’è un vero coup de theatre di colori.

Misantropo